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E' sulla base di queste premesse che Poma aderisce sin da questi primi anni alle sedute di lavoro nell'agro romano de "I XXV" della Campagna Romana, raggruppamento di cui Giovanni Costa, in continuità con gli ideali di In arte libertas, è l'anziano capofila, ed in cui Enrico Coleman e lo stesso Sartorio svolgono un ruolo di primo piano. Rispetto ai membri ufficiali del gruppo, Poma appare in posizione defilata ma non per questo meno capace di cogliere gli aspetti più nuovi e originali che vi erano sottesi. Nel 1908, Luigi Serra aveva firmato sulla prestigiosa rivista d'arte "Emporium" un aperto apprezzamento verso la nuova produzione di tempere e pastelli eseguiti da Sartorio nella campagna romana, in cui scorgeva, con ampio anticipo sui tempi, la capacità del grande artista romano di rinnovare il proprio linguaggio sperimentando un registro del tutto diverso da quello delle sue opere maggiori. Una ricerca che prefiggendosi il superamento del verismo e di qualunque pretesto aneddotico lo avrebbe portato a risultati sorprendentemente audaci e a cui Poma guardò senza dubbio con interesse mentre, in parallelo, si consumava il suo graduale distacco dal mondo artistico ufficiale; al 1909 risale infatti la sua ultima partecipazione ad un'esposizione (Roma, Società degli Amatori e Cultori). E' probabile che la scelta di abbandonare gli impegni pubblici abbia contribuito a rafforzarlo nell'adesione ad un linguaggio di radicale sintetismo, che trova consonanze in altri giovani di quell'ambito come Maurizio Barricelli e che sarà decisivo anche per i suoi esiti successivi.
Da quegli stimoli Poma trae spunto per un taglio fortemente ravvicinato dell'immagine, probabilmente influenzato dalla mediazione della fotografia; anche la scelta di ritornare sul medesimo soggetto per coglierne il variare nei diversi momenti di luce e atmosfera appare influenzata dalle scelte di Sartorio. Ma è soprattutto il prevalente uso del pastello ad apparire emblematico.
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