Per dipingere gli bastava collocare il cavalletto davanti all'inquadratura di una finestra, altre volte poteva appoggiarlo tra alti fusti e chiome d'alberi, siepi attinte da policrome farfalle, viali, statue, deliziose fontane, fino al ristoro del laghetto ingentilito dal silenzioso scivolare dei cigni. Altre volte ancora, naturalmente, Poma si recava con il calesse nella campagna romana. Fu in quel suo aggirarsi nella villa, inconfondibilmente da pittore, con i suoi strumenti fra le mani, che un bel mattino incontrò un signore analogamente equipaggiato. (Ma non era invece lui, Alessandro Poma, il dominus della villa?). Si appostarono non lontano l'uno dall'altro. Piccolino, sorridente, lo sconosciuto si riparava dal sole con una paglietta, mentre Poma era a capo nudo; ad un certo punto con un agile saltello ruppe il ghiaccio, e venne a presentarsi: Giacomo Balla. (...) Non so se i due - la cui pittura non manca di qualche pastosa affinità - si rividero davvero, e soprattutto non so se l'incontro immaginato dal nostro narratore sia davvero avvenuto. Certo, è ben difficile che ai due non capitasse di incontrarsi. Anche se il nome di Balla non figura mai tra i pittori con cui Poma fu in contatto. Del resto, neanche di un incontro con Pellizza da Volpedo si ha notizia, il grande maestro piemontese che nel 1906 dipinse in Villa Borghese. Sartorio fu dunque il principale riferimento, tuttavia del suo tratto robusto, della sua retorica, dei suoi solenni verticalismi non è facile reperire traccia nella produzione di Poma, che peraltro presenta al critico una grande difficoltà, che forse solo un lungo e paziente studio potrà rimuovere. La difficoltà è la mancanza assoluta di date, a parte il dipinto prescelto dal re, che dall'anno e dal luogo di acquisto si può con certezza assegnare al 1905: dunque un momento ancora giovanile del Poma, che qui presenta un segno sensibile e sottile, una studiata ricerca di equilibri tra le masse del verde e la cura di una prospettiva centrale, da un punto di vista frontale. Il dipinto è bellissimo, ma ancora legato rispetto alle scioltezze, le audacie coloristiche, le inquadrature della produzione posteriore. La nostra visita si svolge soprattutto tra i dipinti di paesaggio, per lo più tra la terra trabalzante verso l'alto con i suoi picchi nevosi contende lo spazio al cielo, chiuso in brevi angoli turchini. Anche i giochi di luce s'invertono: non più un cielo chiaro sulla terra bruna, ma il bianco acuminato delle vette contro cieli iniettati di blu intensi. Non muta, naturalmente, il sentimento del colore, partecipato con crescente intensità lungo il percorso di Alessandro Poma, come in una spremitura di luce sempre più golosamente munta e cosparsa con la punta delle dita per penetrare la superficie e comunicarle il suo fremito. quelli ispirati a Villa Borghese, ed anche alla campagna romana, giacché questo è il tema di una mostra che vuole rivelare ai frequentatori del parco (già in parte amatori d'arte provenienti da escursioni nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna, oggi percentualmente incrementati - gli amatori - dalla nascita del delizioso Museo Bilotti), un artista pressoché sconosciuto che pure si può considerare il genius loci dello stupendo parco romano, in forza dei lunghi e creativi anni vissuti (circa trenta!) tra i suoi incanti. |
Indietro | Indice exhibitions | Avanti |
---|